Come altre volte in passato, questo post non ha uno scopo preciso: è atto solamente a mitigare alcuni miei pensieri che, a tarda notte, non mi lasciano andare a dormire.
Continuo a ricoprire il mio cuore di inchiostro troppo macchiato per formare parole ma troppo indelebile per essere cancellato. Persevero nella volatilità delle cose, sperando che un attimo solo possa indurre qualcosa che la mia mente razionale sa benissimo non esistere al di là del momento in cui stacco la testa dal cuscino, la mattina. Mi perdo nel nulla e con esso erigo castelli, baluardi in una città ricca di luci abbaglianti.
Nonostante ciò, tuttavia, sento che sia il mio posto giusto. Non ho rimpianti nella vita, nè rimorsi: forse uno solo, ma mi convinco che sia meglio così. Potevo correre indietro, salutarti un ultima volta, ma era destino che ti vedessi scomparire al di là di quella scalinata, nel mare che m’è così familiare e che odio e amo, come Catullo, perché si è portato via da me quel frammento di stella caduto dal cosmo.
E ora che al mare guardo con avversione, cerco forse qualche scoglio che, ergendosi verso il paradiso, mi dona l’illusione di poter giungere tra le nuvole?
Ma che ne sanno d’inchiostro gli scrittori d’oggi?
Più dolce sarebbe la morte se il mio ultimo sguardo avesse come orizzonte il tuo volto. E se così fosse, mille molte vorrei nascere per mille volte ancor morire.
-Sheakespire
Questo tipo di sfoghi non sono decisamente da me. Ma chi siamo noi per impedire all’universo di scatenare le nostre emozioni?
Vado a letto con un sorriso, conscio che chi stia leggendo -come il mare- o m’odia o m’ama. Con la differenza che so che chi mi disprezza continua a cercare pulviscolo di me in queste pagine di bit.
Questa te l’avrei dedicata, semmai fossi tornata.