Danzi a piedi nudi sul sagrato e poco ti curi degli occhi che seguono il tuo moto: hai l’innocenza nel sangue, la carna dorata dal sole d’Egitto e di quel Sole si riempiono le tue labbra, l’unico ad illuminare veramente il tuo cuore. Io ti osservo, da quassù, dalla cima della cattedrale: ti vedo ballare, ma così distante che se allungassi la mano solo aria le mie dita afferrerebbero. Mi struggo nella tua visione e tento di scacciare quel pensiero nel profondo dell’ermetismo della mia anima, ma sembra che ormai anche i Re di Francia ti osservino con avidità, dalla cima della loro galleria.
Quasi mi consolo non appena il mio sguardo non è più costretto a subire il tuo, nel momento in cui ti credo lontana dalla mia vista, come Don Claude dinnanzi alla forca, ma subito dopo ti vedo riapparire come uno spettro nella galleria tra le torri della chiesa e mi rendo conto che la lonananza nulla può contro la potenza del cuore.
La mia mente si scaglia su di te nel sonno, cerca di uccidere il tuo pensiero, ma il campanaro che custodisce il mio spirito non lo permette ed essa ora ne piange la presenza, cerca di farla evadere dal suo tempio.
Che sia destinato alla caduta? Che l’ultima visione sia quella del sogghignante gargoyle che ride della mia sorte, dietro il cielo cosparso di nuvole che divengono sempre più piccole alla vista, prima d’impattare contro il suolo?

Mi scrollo dai miei pensieri: ti sto ancora guardando dalla galleria della cattedrale. Continuerò a guardarti, scaglierò il mio campanaro su di te al ritorno dalla Grève, o mi volgerò e tornerò da dove sono venuto?

La chiave di tutto si chiama Vita.

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