Ho piazzato una sedia di fronte alla portafinestra che da sul balcone e ho spalancato la tenda per farmi investire dall’aria fredda, quasi invernale, che spira sulla città nei primi giorni di settembre. La pioggia cade fitta e ovatta la luce del sole, congelando il clima arido dei giorni appena trascorsi.
Ho sempre ritenuto che i periodi migliori dell’anno fossero quelli di transizione: quando l’inverno, che ha congelato il mondo, lascia le porte all’estate e quando dopo mesi di sole cocente si ritorna a respirare un po’ d’aria fresca senza dover attendere la sera e rimanere in riva al mare. E’ un gioco di luci e di ombre, di equilibri sia del corpo che dello spirito: ci godiamo la nostra stagione, finché il caldo o il freddo non sembrano essere sul punto di iniziare ad avvilirci, quindi Madre Natura interviene ribaltando le carte in tavola e concedendoci un nuovo piacere, prima che questo ci stanchi nuovamente. Siamo come dei bambini che giocano col mondo, mentre questo si evolve intorno a noi.
Diversi mesi fa, agli albori dell’estate, scrissi un post su quanto mi mancava la Parte Luminosa dell’anno, ed è per questo che ora, simmetricamente, avevo voglia di spendere due parole su quanto sia felice di sentire l’aria satura di acqua, questo vento che mi sta facendo gelare, di come -dopo mesi di luce ed energia- ora mi senta pronto ad accogliere la stagione in cui cerchiamo maggiormente il focolare di casa e di quanto sia contento di ritornare al lavoro dopo il riposo estivo.
Rammento alcune scene di quando ero bambino: correvo per le strade di un paesino con i miei amici, finché non ci sorprendeva il temporale. Era allora che correvamo a nasconderci sotto il palco di legno eretto nella piazza, osservando da laggiù il paese ricoperto dalle lacrime del cielo. Forse è questo l’effetto della pioggia: farci riprendere in mano i nostri pensieri e rammentarci sempre chi siamo mentre, a poco a poco, evolviamo verso nuovi soli.