Archive for dicembre, 2012


La cabina rossa

red-telephone-boxA Londra, vicino casa mia, c’è una piccola cabina telefonica rossa: una di quelle che si utilizzavano un tempo e che insieme ai taxi neri, agli autobus a due piani e al Big Ben caratterizzavano questa città. Sono ormai in disuso e diventano ogni giorno più rare: qualcuna rimane ancora in vita, per scelta della città o per semplice dimenticanza, ma la maggior parte di esse è stata sostituita dalle loro controparti moderne.

Uno di questi telefoni sopravvive dietro casa mia, anche se dubito che funzioni ancora come una volta. Ogni anno, passandovi davanti, scorgo qualche turista intento a fotografarla, dentro e fuori. Con il passare del tempo, nessuno ha mai più neanche osato aprirne la portiera, in quanto piena di cocci di vetro. Adesso una grande edera rampicante, appartenente al giardino della casa contro la quale è adagiata, ne sta reclamando il possesso e quest’anno metà della cabina rossa è scomparsa sotto le sue foglie, inglobata nella trama della Natura. Quando mi fermo per guardarla, mi accorgo della gente e delle auto che vi passano davanti in fretta, ignorando la sua presenza, distogliendo gli occhi dal passato ormai sopperito dal presente.

Penso che quella cabina rossa sia una significativa metafora della vita ed è per questo che, passandovi davanti quasi ogni giorno, non dimentico mai di riservarle un pensiero, forse nella vana speranza di preservare la memoria di quella scatola di metallo dalla vernice scrostata dal tempo, silente osservatrice del mondo che scorre.

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Lo Hobbit: Un Viaggio Inaspettato

lo hobbit giustoAbbiamo aspettato questo momento per tanti, forse troppi anni: il ritorno sul grande schermo di un’avventura tolkeniana era quasi diventata un’utopia per gli amanti del genere fantasy e del Signore degli Anelli, ma infine ce l’abbiamo fatta ed è con soddisfazione che posso affermare di essere riuscito ad assistere alla proiezione del film. Cercherò di esprimere le mie opinioni in merito, senza pretesa di rigore ed evitando gli spoiler per chi ancora dovesse vederlo.

“Lo Hobbit: un Viaggio Inaspettato” racconta delle avventure di Bilbo Baggins, zio del celebre Frodo, sessant’anni prima del ritorno di Sauron. Egli viene contattato da Gandalf il Grigio che richiede la sua partecipazione in una spedizione di tredici nani intenzionati a riprendere la loro antica dimora nella montagna dalle fauci del drago Smaug.

Vi è una sostanziale differenza, anche e sopratutto tra le versioni letterarie, tra Lo Hobbit e Il Signore degli Anelli: mentre quest’ultimo ha dei toni seri, molto più epici, il suo preludio presenta tutte le caratteristiche di una favola: la trama è molto più lineare e in essa gli eroi viaggiano, incontrando di volta in volta un ostacolo sul loro cammino che devono superare per poter proseguire. Nonostante nel film venga menzionata, nel libro non vi sono riferimenti alla Terra di Mezzo nè a molti altri elementi che Tolkien stesso avrebbe introdotto in seguito. Peter Jackson, invece, ha deciso di unire la storia alla base delle avventure di Biblo con molte altre sotto-storie tratte da altre opere dello scrittore, tra cui i Racconti ritrovati e i Racconti incompiuti, arricchendo la trama di interessanti elementi in grado di impreziosirla e di sorprendere anche chi dovesse aver letto il libro da cui viene tratta la pellicola.

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Un plauso  va fatto al regista in merito ai tredici nani: sfido chiunque nel riuscire a scrivere un racconto in cui sono presenti così tanti personaggi senza finire per gestirli come un’unica, grande entità al seguito dei protagonisti principali. Jackson, tuttavia, è riuscito a dare un certo spessore ai compagni di viaggio di Bilbo e Gandalf, conferendo una personalità alla maggior parte di loro, facendoli così fuoriuscire dalla massa. Sempre per quanto riguarda i personaggi, vi sono molti graditi e spesso inattesi ritorni in scena di personaggi già noti. Gli amanti dell’universo tolkeniano non potranno fare a meno di apprezzare queste scene, in cui vengono approfonditi molti aspetti di alcuni dei personaggi più famosi e importanti. Per i veri appassionati del Signore degli Anelli sarà come vivere un flashback nel loro passato.

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Il film viene certamente promosso a pieni voti: il comparto sonoro è spettacolare, così come gli effetti speciali, la scenografia e il design delle armi e delle armature. Gli attori, inoltre, sono stati all’altezza della situazione. Come pecche, posso solo sottolineare una durata un po’ eccessiva che si aggira intorno alle 3 ore e qualche battuta un po’ forzata di tanto in tanto (Gandalf che parla di golf?). Inoltre devo ancora raccogliere pareri per quanto riguarda l’effetto 3D: nel cinema da me visitato non era un granché, anzi, ed ho letto altri commenti simili sparsi per la rete per quanto riguarda altre sale cinematografiche italiane.
Da come la vedo ora, penso che Peter Jackson potrebbe riuscire a chiudere la storia anche nel prossimo film, eppure ha dichiarato che quella di Lo Hobbit sarà una trilogia. Ciò mi perplime leggermente, ma staremo a vedere: con tutte le ramificazioni della trama che ha introdotto, non dubito che possa esservi ancora molto da raccontare.

Se non siete ancora riusciti a vederlo o avete ancora dei dubbi in proposito non esitate: Peter Jackson è riuscito a collocare una nuova pietra miliare nel variegato sentiero qual’è quello del genere fantasy.

L’anno dell’attesa

Siamo quasi alla fine dell’anno e, in una mattinata alquanto fredda sulle soglie dell’inverno, stavo ripensando alla nascita e alla crescita del mio primo romanzo e di tutto ciò che ha attraversato in questo lungo lasso di tempo. Ho iniziato a scrivere seriamente all’età di 16 anni: sono sempre stata una persona creativa e, al tempo, avevo scritto una campagna per un gioco di ruolo da tavolo che in seguito svolsi insieme ai miei migliori amici. Non contento di come tutta la storia, che sia a me che a loro piacque molto, sarebbe finita nell’oblio una volta ultimata, decisi per gioco di iniziare a scriverci sopra.
Tre anni e quattrocento pagine dopo, misi la parola fine a quel gioco.

notebook-computer-writing-bloggingQuando iniziai quest’esperienza, non avevo idea di cosa sarebbe diventata e cosa avrei dovuto affrontare. Quei tre anni sono stati molto lunghi, avevo costantemente l’impressione di essere circondato da un immane lavoro che sembrava non terminare mai: ogni volta che scrivevo, mi rendevo conto di quanto ancora vi era da scrivere. Immagino che, a quell’età e senza esperienza in questo campo, avrei finito col cedere se non fosse stato per il totale ed energico sostegno che ho sempre ricevuto dai miei amici, gli stessi con i quali avevo condiviso l’esperienza del gioco di ruolo (che, per la cronaca, non era D&D). Ho impiegato molto tempo e tante energie, ho scritto di notte e di giorno, col sole e con la pioggia, ma sono riuscito nel mio intento. Mentre andavo avvicinandomi sempre più verso la fine, iniziavo a capire di avere qualcosa di più serio tra le mani. Dopo tre giri di correzioni, tutte distanziate tra di loro temporalmente, iniziai la stesura di altri due libri che, seppur di poco più piccoli, mi impegnarono solo per un anno di tempo l’uno. Nel frattempo, iniziai a cercare un editore per il primo libro.

Io che scrivoSe non avete mai provato di persona cosa voglia dire ricerare un contratto di pubblicazione, forse non riuscite ad immaginare quanto possa essere frustrante. Mesi e mesi di attesa e la costante sensazione di sentirsi impotenti, di non poter far nulla per contribuire allo sviluppo del progetto ma di dover solo aspettare che una casa editrice leggesse un paio di pagine, o addirittura qualche rigo se andava male, prese a caso dal mio libro. Il frutto di tre anni e infinite notti in bianco valutate nel giro di qualche giorno al massimo. A questo punto, le case editrici si comportano in modi molto diversi e certe volte curiose. Ad esempio, mi è capitato di ricevere una risposta negativa dopo pochi mesi, ma anche dopo un anno intero. C’è chi non mi ha mai risposto, ma che mi ha così cortesemente incluso nelle proprie mailing list. C’è chi mi ha promesso un esito in una tale data, per poi farmela pervenire diversi mesi dopo. C’è chi, dopo tredici mesi dall’invio, mi fa pervenire la mail automatica in cui mi si conferma la ricezione del manoscritto e chi addirittura, nella stessa situazione, mi invita a mandarlo su un altro indirizzo email per inserirlo in coda di valutazione. Dopo tredici mesi.

Fortuna volle che, infine, trovai qualcuno disposto a credere nel mio libro, pronto a dargli vita e presentarlo al pubblico. A questo punto, quando un autore firma il contratto, sapete che cosa accade?

Si aspetta.

La pubblicazione non può avvenire senza che un grafico curi le illustrazioni e che un editor scansioni il testo per sistemarlo dove opportuno. Questo processo, per me, è in corso da circa otto mesi. Le cose però stanno per cambiare: i lavori dovrebbero essere quasi ultimati, le immagini quasi pronte, i testi revisionati. Manca poco, forse un mese se tutto va bene, perché il mio libro, a distanza di sette anni da quando è stato iniziato, possa finalmente vedere la luce in forma cartacea. Manca poco per realizzare la prima tappa del sogno della mia vita. Posso solo immaginare il seguito, ma sarebbe -appunto- solo frutto di immaginazione, ed è per questo che non ne parlerò prima che sia diventato una realtà.
Il 2012 è stato un anno di grande attesa, ed è così che lo ricorderò, ma forse tutto questo sta per cambiare. Forse è ora di tornare in gioco, di scendere nuovamente in campo e di fare in modo che il successo di questa impresa dipenda anche dalle mie azioni. Io sono pronto a dare il massimo e non ho intenzione di permettere a tutti questi anni di perdere il loro senso.

Ci vediamo in libreria, mondo!

Genealogia digitale

L’interesse verso ciò che ci riserva il futuro è qualcosa che ci caratterizza un po’ tutti: c’è chi lo guarda con occhio curioso e chi invece quasi lo teme, ma dubito che vi sia qualcuno che non vi abbia mai dedicato almeno un pensiero saltuario. Io, da allievo ingegnere, non posso permettermi di essere da meno e dedico spesso una parte delle mie riflessioni sul futuro del mondo dal punto di vista tecnologico. Questo è uno di quei pensieri che ho deciso di mettere per iscritto.

Devo confessare che, personalmente, non sono in grado di ricostruire il mio albero geneologico. Conosco a malapena la storia delle vite dei miei nonni, mentre non ho la minima idea di chi fossero, cosa facessero e dove abitassero i miei bisnonni. Non cito neppure i miei antenati più vecchi, che si perdono nelle nebbie del tempo. Mi ritrovo a rendermi conto di non sapere quale sia l’origine del mio cognome e di ignorare i nomi di coloro i quali lo hanno portato prima di me. Chi erano? Cosa facevano nella vita? Che tipo di persone erano? Quanti secoli di fatti, esperienze e ricordi preziosi si sono persi per sempre? Se la vita ha un valore inestimabile, allora ne deduciamo che anche la perdita che ne subiamo ha la stessa portata. Siamo qui, oggi, anelli finali di catene di eventi che si perdono nel bianco e nel nero, ma ignoriamo cosa ci ha portati essere ciò che siamo, nel luogo in cui siamo.

A giudicare dall’assetto tecnologico del mondo moderno, dubito che questa mia situazione possa ripetersi così facilmente in futuro. Ora nella nostra quotidianetà abbiamo la realtà digitale, con la sua incredibile capacità di memorizzare i dati. Non posso non citare un nome che non avrà bisogno di essere commentato: Facebook. Se non dovesse esserci una qualche svolta epocale in attesa nei giorni a venire, i nostri pro-pro-pro-…-pro nipoti potrebbero avere accesso a tutte le nostre vite. Tramite i canali di social network e di condivisione dei contenuti, saranno in grado di vederci, sentirci, guardarci, conoscerci. Potranno vedere le nostre foto, sfogliare i nostri interessi, leggere i nostri pensieri e ricostruire gli eventi delle nostre esistenze. Avranno l’opportunità di conoscerci e possibilmente di imparare qualcosa che non saremo mai in grado di trasmettere loro personalmente (o potrebbero avere la possibilità di vederci sbronzi alle feste di capodanno, per la gloria della casata!).

Personalmente, penso che tutto ciò dia molto su cui riflettere. Cosa possiamo fare, ad esempio, per fare in modo di lasciare qualcosa di noi a chi ci susseguirà nella ruota dell’esistenza?
Lanciamo un eco nel futuro e, con un po’ di fortuna, i nostri nomi diverranno leggende.