Alla fine, tutto si riduce a questo. Una vita e un mondo ristretti ad un attimo e a un quadrato di pochi metri di spazio. In piedi sulla banchina, quando il sole è ormai calato all’orizzonte e il vento sempre più freddo dell’autunno impellente inizia a soffiare, mi ritrovo a guardare la nave che salpa e che, solcando le acque, si allontana dal porto. È questo il momento cruciale, la singolarità dell’esistenza: una nave che parte. La vera differenza è nel dove ci si trova, quando i motori iniziano a girare: se a bordo o a terra. Stavolta io rimango sul molo e osservo un’intera parte della mia vita che si allontana verso un futuro più splendente.
Ci sono quelle cose, nel corso degli anni, che arriviamo a bollare con l’etichettà “succederà”. Certe cose che sappiamo bene che dovranno accadere, prima o poi, ma con cui decidiamo di non fare i conti, vuoi per paura, vuoi perché tendiamo a vivere la vita troppo alla giornata: impegni a lungo termine, scadenze, punti di confine dell’esistenza. A volte sono i nostri, a volte quelli degli altri, ma in ogni caso da lì in poi non si torna indietro. È un bene che sia così: questo assicura la nostra personalissima evoluzione, ma ciò non vuol dire che non possa lasciare addosso il sapore della malinconia e ricordi in color seppia che riempiono la totalità della propria vita.
La fatalità dell’esistenza non è altro che una scintilla nella notte: un rapido fulgore e, dopo, la cenere. Ma chi ammira il lampo non dimentica mai la luce. E tu, più di ognuno, eri e sei la luce.
Ciao, Peppe.