Lacrime strappastorie sui volti di chi ho intorno,

di chi riempie i margini del mio mondo,

di chi c’è ma non esiste,

come uno scenario che non persiste.

Oggi ero sul treno. Ho aspettato a lungo sul binario, sotto al freddo e al buio di un’inverno spazzato dai vapori delle vetture e disturbato dalle voci sintetiche degli altoparlanti. Il finestrino era leggermente condensato e non lasciva filtrare bene gli sprazzi di luce che si susseguivano uno dopo l’altro mentre la carrozza sferragliava sui binari fatiscenti. Annoiato, ho iniziato a guardare le persone che avevo intorno, quando in un impulso di scrittura ho preso un pezzo di carta e ho buttato giù quattro versi che parlano della mia giornata tipo: un viaggio in treno accanto a persone ogni giorno nuove e di cui non conoscerò mai le storie, seppur per ognuna mi sia concesso scorgerne un frammento di dieci minuti. Frammento che, alle volte, non è raccontato con le parole ma taciuto e lasciato narrare agli occhi.
Non ho trovato parole adeguate con cui circondarli.

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