Category: Amore


Poeta di vetro

Esistono due tipi di parole: quelle fatte per essere lette e quelle fatte per essere scritte. Queste ultime, prive di ogni forma d’ego, rimangono completamente indifferenti agli occhi dei lettori e non si prodigano in inchini o ampi sorrisi: si limitano, semplicemente, ad esistere. Tanto basta.
Questo breve scritto appartiene a quest’ultima categoria e non è destinato a nessun altro che a me stesso, ma ho deciso di lasciarne ugualmente traccia sul Triskele in quanto, come qualcuno sa, ho sempre usato il mio blog come una sorta di macchina del tempo personale per misurare le mie distanze dall’origine.

Marguerite Duras disse che «straordinario è quello che non ci si aspetta», ma io ogni giorno ti guardo sapendo benissimo quale sorriso stai per rivolgermi, eppure ogni volta è straordinario ugualmente. E giorno dopo giorno, dopo tutto questo tempo, continuo a guardarti perché voglio ancora sapere chi sei, nel profondo, in quel caleidoscopico labirinto della tua anima. Perché c’è in te una dolcezza spontanea e naturale che mi ricorda il volto primigenio della terra spogliato dei suoi artefatti di civiltà. Non avresti nemmeno bisogno di alcun artista che prenda ciò che di bello hai in te per trasformarlo in Arte, perché tu sei Arte allo stato naturale, selvaggio, incondizionato. E anche quando penso di essere arrivato a trovare la pace, riesci a rimettere in discussione tutti i miei punti di equilibrio e a mantenermi in rotazione in un mondo che non contempla la stasi. Dio, se fa male. Ma te ne posso solo ringraziare perché senza nessun drago da combattere, non avrei neppure alcun tesoro da conquistare.

Ma c’è una cosa che ho già imparato: non c’è abbastanza spazio in questa città per continuare a riempirla di fantasmi. Ho scoperto di essere un povero poeta, solo e pazzo, che si sta stancando dei viaggi di ritorno col cuore di vetro e la cenere tra le dita. Ma da poeta cos’altro posso fare, se non trasformare questi frammenti in versi?

Quanti fantasmi che siedono su quel sedile.

Il cielo tonante dipinto di folgori,
le rive cristalline del mare di Grecia.
Dei ricci di fiamma appallottolati su sé stessi,
uno spettro bruno dal profumo di sole.
Disegni fatti a mano sul vetro
e altre memorie che sbiadiscono nella condensa.
Gocce di pioggia che scivolano sul vetro,
file di palme assolate che scorrono,
silenzi reconditi e parole di vento.

Avanziamo in questo mondo, collezionando passati d’altri,
ma non sono nessuno per poterli disturbare,
non sono nessuno per poterli richiamare.
Adesso quel sedile giace nel silenzio,
mentre la pioggia batte sulla finestra buia.

Quelle Converse sul cruscotto, quel gatto sopra il tetto,
quel bacio rubato, quello mai dato,
quell’amore in segreto, nato e morto nel silenzio,
quell’altro ancora fin troppo rumoroso.
Il calore dei corpi, la freddezza dei ricordi.
Ma i corpi si raffreddano e i ricordi si scaldano.
Una canzone per ogni memoria, ma nessuno qui a riascoltarle.
Ho imparato a non amarti, ma è un pugnale al cuore.

 

Un uomo può solo essere sincero di fronte al tramonto. Tutto il resto è sacrilego.

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Carpe diem

Alba_con_rugiadaCi sono quelle albe maledette che, un paio di volte nella vita, ti appesantiscono l’anima anziché alleggerirla. Sono quelle albe che non sorgono insieme a te, ma che anzi ti trovano, lento e assonnato, a camminare sulla strada per casa con i capelli sfatti e un’espressione a metà tra il felice e il pensieroso. Sono quelle albe che seguono notti così intense, così piene di emozioni, così tirate verso il limite dell’umana comprensione e capacità di accettazione che rendono palese il fatto che, qualunque cosa possa accadere il giorno successivo, non sarà mai neanche lontanamente paragonabile a quanto è già accaduto. Quelle albe segnano una sorta di limite: sono una sottile linea di confine che appare nell’esatto momento in cui il passato è troppo pieno e il futuro troppo vuoto, mentre il presente è ridotto ad un mero periodo di transizione carico di speranze. Eppure, io so già di aver fatto il passo più lungo della gamba e so bene che, quando la parte migliore si presenta all’inizio, significa che ciò che rimane della strada è il tratto in salita.

Consapevole di tutto ciò, prima di aprire il cancelletto di casa mi volto e poggio la schiena contro l’inferriata carica del freddo della notte appena dissoltasi, per poi lasciarmi scivolare lentamente a terra, sedendomi contro il gradino. Intorno a me, riparte la vita: la gente esce di casa, ancora assonnata, ed entra in auto per dirigersi al lavoro. Qualche uccello si leva nel cielo ancora sonnecchiante e i suoni del mondo, a poco a poco, si risvegliano. Io, però, non ho voglia di unirmi a loro. Ho bisogno, semplicemente, di ripetermi due parole: carpe diem.
Qualche mese fa scrissi che «la spettacolarità dell’esistenza è la consapevolezza di essere padroni di un momento unico e prossimo a sparire». Oggi, penso che avevo dannatamente ragione ma che non avevo preso in considerazione ciò che accade quando quel momento è ormai scomparso, rimanendo solo un ricordo.
Osservo il cielo bluastro che precede l’apparizione del sole e penso che da ora inizieranno i problemi. Ancora una volta.

“Guess it’s true, I’m not good at a one-night stand
But I still need love ‘cause I’m just a man
These nights never seem to go to plan
I don’t want you to leave, will you hold my hand?

Oh, won’t you stay with me?
‘Cause you’re all I need
This ain’t love, it’s clear to see
But darling, stay with me

Why am I so emotional?
No, it’s not a good look, gain some self-control
And deep down I know this never works
But you can lay with me so it doesn’t hurt”

–Sam Smith

Cogli l’attimo

_Carpe_Diem__by_xX_Jaded_XxIl compito di un artista è quello di tentare di ricreare in ciò che compone, che sia uno spartito musicale, una scultura o uno scritto, la bellezza della vita, in tutte le sue sfumature: le ombre e le luci, i chiaroscuri che creano la perfezione delle cose e delle persone, nel gioco dei pregi e dei difetti che mai devono venire a mancare, giacché «il difetto è ciò che per noi diventa Arte».
Non è un compito facile: la vita si para innanzi a noi esplodendo in un caleidoscopio di sfumature diverse, impossibili da cogliere in pieno. Nulla di materiale e mortale è così grande da riuscire a contenere in sè l’intera essenza della natura. Eppure, per l’uomo, l’impossibile non è mai stato motivo di resa: è per questo che siamo una razza tanto tenace, seppur ottusa. Molti miei predecessori si sono sicuramente posti la stessa domanda, che ora rigirano a me come a tutti gli altri artisti che al momento popolano la Terra, forse nella speranza che qualcuno riuscirà, prima o poi, a trovare una risposta.

È possibile descrivere in pieno la meraviglia dell’universo?

Eccola lì la fatale domanda, nera su bianco, il non plus ultra, la pietra filosofale del lavoro di un artista.
Posso prendere la fresca brezza che nel silenzio della notte spira tra le foglie, facendole cantare, ed imprimerla in un pezzo d’arte? Posso catturare la luce del tramonto che si riflette in riva al mare e conservarla, per rivederla giorno dopo giorno, inspirando il suo calore rassicurante? Posso memorizzare per sempre la skyline della città mentre la osservo dal basso, premuto contro il finestrino dell’auto, con le luci di mille palazzi che mi scorrono davanti agli occhi? Posso cristallizzare in eterno lo sguardo della persona che amo ed imprimerlo in una forma durevole, in modo da far provare a chiunque l’infinito abisso che mi si apre nel cuore quando guardo quegli occhi, mentre loro guardano i miei? Posso raccogliere la storia di un’intera vita, con tutto ciò che è stato importante per essa, per far rivivere le stesse emozioni a qualcun altro, con tutti i dolori e tutte le gioie, con le esperienze e le lezioni imparate, con quelle piccole e grandi cose che, nel silenzio dell’anima, fanno nascere un sorriso incomprensibile ai più?

elisa

La risposta a cui sono giunto è la seguente: no, non posso.
L’universo è così bello proprio grazie alla sua volatilità: tutto scorre, nulla resta. Abbiamo appena il tempo di scorgere la meraviglia che si manifesta come «sparuti e incostanti sprazzi di bellezza», prima che passi: li si coglie o li si lascia morire per sempre. Carpe diem. La spettacolarità dell’esistenza è la consapevolezza di essere padroni di un momento unico e prossimo a sparire. Mai certezze, solo speranze, e quando anche quelle vengono a mancare ecco che la meraviglia può risorgere, rinforzata dalla nostra disillusione. Se lo stupore non fosse momentaneo, non sarebbe più stupore.

Non posso prendere per me il suono delle foglie, perché non riuscirei a portare con lei anche il dolce profumo della notte e il tocco dell’eternità che si riflette dalle stelle. Non posso catturare il tramonto, perché perderebbe la magia che aveva quando il sole era sul punto di scomparire oltre l’orizzonte, concedendoci solo pochi minuti per ammirarlo. Non posso memorizzare la skyline, perché non riuscirei a registrare a sua volta anche il movimento, l’energia, la vita delle persone dentro e fuori dai palazzi. Non posso cristallizzare il tuo sguardo, perché posso descrivere l’amore ma non farlo sperimentare. Non attraverso l’arte. Non attraverso le mie mani.
Non oltre i tuoi occhi.

Una delle più grandi ed ineluttabili verità della vita riguarda la finalità dell’esistenza, dell’entropia, del caos in cui infine, prima o poi, ci schiantiamo quasi senza rendercene conto. Un caos vario, multiplo e stratificato, fatto di gioie o di dolori, ma anche di tutte e due, mescolate nell’agrodolce sapore della malinconia.

La grande verità è che le montagne si spaccano, i castelli cadono, gli angeli piangono. Passiamo la nostra vita ad erigere barriere, difese e protezioni, ad assicurarci la nostra incolumità in questa esistenza carica di pericoli, ma non possiamo avere sempre il controllo su tutto. Eventualmente, nei muri si formano delle crepe: alle volte ce ne accorgiamo, alle volte no. Alle volte decidiamo di riempire quelle fratture, altre volte non lo facciamo: forse per pigrizia, forse per paura di iniziare a rattoppare la nostra vita, trasformandola in un patchwork di errori e dolori ricuciti, forse ancora per avere uno spiraglio da cui guardare fuori, senza essere costretti a dover salire sui camminamenti e osservare tutto da una prospettiva innaturale. Con gli occhi al livello del suolo, anziché in aria nel cielo, riusciamo a vedere di meno, ma al tempo stesso di più: i dettagli, le sfumature, i particolari che danno senso a tutto quanto.

47270_4119397176303_1654960531_nVorrei davvero riuscire a raccontare tutto quello che mi sta succedendo in questo periodo. Sono tempi strani, in cui le mura si riempiono di crepe: gli attacchi peggiori non sono quelli che provengono dall’esterno, bensì dall’interno. I dolori celati crepano le maschere che indossiamo, in un disperato e tenace tentativo di rivelarsi, offesi dall’essere stati nascosti all’occhio del mondo: anche essi vogliono la loro parte, litigano scalmanati per avere il palcoscenico ed a nulla serve cercare di impedirgli di entrare in scena.
Sono tempi irrequieti, colmi di pensieri e per nulla rilassati: un nervosismo sottile e subdolo, che trama proprio sotto la pelle, tanto leggero quanto onnipresente in ogni momento della giornata. Sono tempi di sentimentalismi bruciati, di angeli calpestati e della muta e inerte impotenza di fronte allo scempio dell’uomo che offende, di suo proposito, il divino. Sono tempi di risposte che seguono le domande, una situazione non banale e assolutamente mai scontata. Sono tempi in cui cerco, con tutto me stesso, di impedirmi di cambiare, poiché “facilis descensus Averni” ed essere meno buoni e spontanei può sembrare spesso la soluzione, quando in realtà mi porterebbe solo a regredire ciò che sono.

È tempo di richiudere quelle fratture nelle fortificazioni: da solo, giacché ho bisogno di ritorvare il mio equilibrio e uscire da questa condizione d’irriquietezza. Mi hanno sempre accusato di chiudermi molto nelle mie difese, così ho provato ad aprirmi, per una volta in vita mia. Forse non ero pronto per tutto ciò che è straripato all’interno, forse quello che ho trovato dall’altro lato mi ha spiazzato nel profondo, strappandomi violentemente dalla mia comfort zone.
Per il momento, le porte torneranno a chiudersi. Prego con tutto il cuore che un giorno, quando sarò più preparato di adesso, riuscirò a dischiuderle nuovamente.

Ciò che muove il cuore

Non voglio ragioni per amare, ma solo per soffrire.
Le ragioni sono mortali e volatili e si disperdono come sabbia tra le dita, soffiando via insieme al vento: la bellezza, la dolcezza, la ricchezza cosa sono se non bieche caratteristiche terrene? E cos’è invece l’amore, se non qualcosa che prescinde completamente dalla volontà e dal comprendonio umano? L’amore non ha regole e si fa beffe dei vincoli che cerchiamo di imporgli, dei segnali di riferimento che usiamo per non perderci in esso.
Le ragioni servono soltanto al dolore, perché possa essere esorcizzato e fatto a pezzi, per separarlo da chi siamo, per tenere al sicuro il nostro cuore. Ma non l’amore, lui no: lui è fine solo a sè stesso e non ha bisogno di motivi per funzionare ma solo della completa fiducia di chi lo vive.

Ti amo senza sapere come, né quando, né da dove,
ti amo direttamente senza problemi né orgoglio,
ti amo così perché non so amare altrimenti

Amate e non chiedetevi mai il perché.

Luce tra le dita

Non riesco a scrivere questo post. E’ inutile, credo di averci provato già una decina di volte. Sono abituato a scrivere e credo, con poca modestia, di riuscire a rendermi conto di quando qualcosa sta venendo fuori con una forma brutta o, semplicemente, diversa da quella che io volevo farle assumere: un po’ come se il signor Eiffel si fosse ritrovato con una piramide invece che una torre. Ecco allora che cancello e riscrivo per un paio di volte, prima di accartocciare virtualmente tutto e lasciar perdere.

Credo di sapere cosa sta succedendo: ciò che era la mia struttura interna sta subendo dei rapidi cambiamenti. Tutto ciò che avevo consolidato nel corso dell’anno scorso sta venendo messo in discussione, rimodellato e sta giungendo ad un nuovo stadio. Rileggendo i miei vecchi post, mi sono ritrovato a pensare che, ai tempi in cui li scrissi, non capivo nulla di quello di cui stavo parlando. O quasi.

Parlavo di amore, di luce, di cambiamenti e di energie, senza riuscire a capire che il primo, vero cuore fermo era il mio. Mi rifugiavo in una fortezza di ghiaccio, invisibile all’esterno ma palese a chi tentava di approssimarsi troppo. Me ne uscivo con frasi di un certo effetto, tutto rivestimento e niente anima, come lo ero io. Il mio cuore era pieno di paura e, in quanto tale, non era in grado di accettare l’amore che tanto predicavo. Mi fa male solo ammetterlo tramite queste poche righe non lette da nessuno, ma è così.
O meglio, lo era.
Ho trovato qualcuno in grado, senza esitamenti di sorta e con una sicurezza quasi disarmante per un animo da tanto tempo sulla difensiva, di sciogliere dolcemente quel ghiaccio e far tornare la luce. Non un bagliore abbagliante e improvviso, ma un flusso gentile come un raggio di sole che filtra gradualmente tra le dita.

Nessuno di noi ha paura di legarsi, ma soltanto di non riuscire a slegarsi. Era quella la paura di cui dovevo liberarmi, ma credo di esserci riuscito.

E il mondo non è mai stato così bello.

Sei la mia Esmeralda

Danzi a piedi nudi sul sagrato e poco ti curi degli occhi che seguono il tuo moto: hai l’innocenza nel sangue, la carna dorata dal sole d’Egitto e di quel Sole si riempiono le tue labbra, l’unico ad illuminare veramente il tuo cuore. Io ti osservo, da quassù, dalla cima della cattedrale: ti vedo ballare, ma così distante che se allungassi la mano solo aria le mie dita afferrerebbero. Mi struggo nella tua visione e tento di scacciare quel pensiero nel profondo dell’ermetismo della mia anima, ma sembra che ormai anche i Re di Francia ti osservino con avidità, dalla cima della loro galleria.
Quasi mi consolo non appena il mio sguardo non è più costretto a subire il tuo, nel momento in cui ti credo lontana dalla mia vista, come Don Claude dinnanzi alla forca, ma subito dopo ti vedo riapparire come uno spettro nella galleria tra le torri della chiesa e mi rendo conto che la lonananza nulla può contro la potenza del cuore.
La mia mente si scaglia su di te nel sonno, cerca di uccidere il tuo pensiero, ma il campanaro che custodisce il mio spirito non lo permette ed essa ora ne piange la presenza, cerca di farla evadere dal suo tempio.
Che sia destinato alla caduta? Che l’ultima visione sia quella del sogghignante gargoyle che ride della mia sorte, dietro il cielo cosparso di nuvole che divengono sempre più piccole alla vista, prima d’impattare contro il suolo?

Mi scrollo dai miei pensieri: ti sto ancora guardando dalla galleria della cattedrale. Continuerò a guardarti, scaglierò il mio campanaro su di te al ritorno dalla Grève, o mi volgerò e tornerò da dove sono venuto?

La chiave di tutto si chiama Vita.

Il Desiderio

Sono di ritorno da una bella vacanza con i miei amici e porto con me alcuni bei ricordi che sono fiero di poter conservare nella mia memoria.
Per amor della sinteticità, abbiamo alloggiato in un residence sulla costa della sicilia del sud, una delle terre più calde che abbia mai visitato. Essendo il luogo non troppo grande, abbiamo potuto conoscere veramente tanta gente, fino al punto da aver quasi ottenuto lo stato familiare con un gruppo di persone giunte sin lì dalla provincia catanese. Tra spiaggia, piscina, balli e la discoteca serale, ho avuto modo di raccogliere una manciata di energia enorme, più grande di quanto possa manipolarne normalmente in ambiente quotidiano, e darne sfogo in tutti i modi possibili: credo di non esagerare quando dico che ho potuto saltare, ballare, cantare, tuffarmi nella Vita e danzare in essa come poche volte mi sono concesso di fare. Ho potuto insegnare yoga ad un piccolo gruppetto di persone e sono salito sul palcoscenico, ho infuso amore, gioia ed emozione in ogni minimo gesto.

Eppure anche stavolta -o forse proprio grazie a questo enorme fluire di energia- ho potuto provare un’esperienza un poco più profonda.

Certe volte la vita ci mette davanti a situazioni che neppure con le nostre piene facoltà mentali riusciamo a capire, ma che capitano e basta: non ha senso rimuginarci sopra, quanto invece lo ha vivere il momento. Si prendono delle scelte che non si sanno giustificare, si fanno cose che non si credevano possibili solo perché il linguaggio dell’Anima del Mondo passa dal cuore e non dal cervello.
La mia mente aveva eretto barriere, si era schermata in anticipo contro ogni possibile mossa del mio cuore. A volte si è disposti a fare qualcosa che non ci si sarebbe mai aspettato, solo per onorare quell’energia che chiamiamo Vita.


Stavo male, rientrato a casa dopo quell’ultima sera. Non trovando ristoro e conforto nel mio letto, ho deciso di uscire nuovamente fuori: la piazzetta del residence era completamente deserta alle quattro e mezza del mattino: gli ultimi avventori eravamo stati noi. Mi piazzo in una panchina da cui si possono vedere le stelle ed inizio a divagare con i pensieri per cercare di distrarmi, ma tutto è vano. Prego Dio, con insistenza, di farla affacciare dal terrazzo. Lo prego come se fossi in procinto di annegare e vi fosse una luce innanzi a me ad indicare l’aria, così vicina ma al tempo stesso irraggiungibile. Il mio amico è rimasto con me, mi ha ascoltato, e per questo ne sono grato, ma alle cinque gli ho consigliato di tornare a letto: non v’era altro che lui potesse fare per me, aveva giocato la sua parte e l’aveva fatto bene, ma ora toccava a me procedere.
Mi siedo nello spiazzale spazzato dal vento salmastro della notte: la palma ondeggia, le foglie vengono sospinte per terra e si ode lo spumeggiare del mare, ma io sono solo con me stesso. Passa la notte e il cielo si schiarisce: le stelle scompaiono, la luna diventa una falce quasi invisibile e i suoni della notte lentamente si zittiscono. Chiedo ancora a Dio di farla affacciare su quella terrazza, lo chiedo in continuazione, lo chiedo senza sosta: forse mi farò male, ma ho bisogno di parlarle.
Passano le ore e trovo una compagna che mi assiste durante l’alba. Decido di guardare quest’ultima per ricordare al mio animo che la luce è sempre in grado di spuntare, indosso le scarpe vecchie ai piedi per rammentarmi di tenere sempre sotto di me il mio passato.

«Guarda: nonostante tutto ciò che accadrà, queste colline saranno sempre qui, sempre le stesse. Chissà che, un giorno, uno di questi alberi non si ricordi di quei due ragazzi che sono andati a vedere l’alba all’ombra della croce»

Le ore passano, il cielo è ormai luminoso. La mia testa inizia a dondolare in avanti, ma devo reggere, ho una missione: pregare. Pregare perché esca, perché si affacci sulla terrazza.
Sono lì da quattro ore quando, alla fine, succede. Si alza prima del solito: partirà in anticipo, non aspetterà l’ora limite. Non sarei mai riuscito a salutarla se non fossi rimasto sveglio ad attendere tutta la notte. Ci sentiamo per qualche minuto, ci salutiamo rapidamente: non è ciò che mi aspettavo. Mille parole mi sono morte in gola, un’eternità di frasi sono rimaste sopite nel mio cuore e ora gravano lì, in attesa di esser dette. La guardo allontanarsi dal viale: chissà se la rivedrò mai più. Non lo so. In ogni caso, non avrei neppure dovuto dirle un granché.
Ma ciò che conta è che, alla fine, il mio desiderio, la mia preghiera si è esaudita.

Si è affacciata dalla terrazza.