Certe volte mi sembra che manchi qualcosa.
Non saprei descrivere cosa, nè a parole nè per immagini: è come fosse un insieme di frammenti che trovano il modo di incastrarsi, un miscuglio di emozioni che ogni tanto vibrano con la stessa frequenza di risonanza della mia anima, ed ecco allora che nel pieno di un’azione qualsiasi mi ritrovo ad alzare la testa, guardarmi intorno e… assaporare il momento, con una consapevolezza acutizzata dell’hic et nunc, il qui e ora. Non saprei dare un nome a questa cosa, nè cercare di spiegarla meglio: è come un flusso di vita invisibile, celato all’occhio e che fluisce tra le intercapedini della vita a colmare i margini tra una struttura e l’altra.
Mi manca qualcosa, almeno credo, e penso sia qualcosa di così banale da essere sotto gli occhi di tutti, un po’ come la respirazione involontaria: è qualcosa di così basilare e fondamentalmente indispensabile che la sua presenza passa persino inosservata. Non capisco cos’è, ma ogni tanto questa frase rintocca tra i miei pensieri mentre guardo la vita dispiegarsi intorno a me e le altre persone che vivono le proprie vite ai due margini della strada.
Mi sta sfuggendo qualcosa, ma non capisco cosa e lo cerco con lo sguardo. Lo cerco nel riverbero del crepuscolo sui tetti delle case secolari, lo cerco nel modo in cui le fronde ondeggiano al vento oceanico, lo cerco nelle espressioni della gente, lo cerco tra le stelle particolarmente visibili di questa notte di primavera, mentre riempio la strada della mia presenza silente. C’è una malinconia di sottofondo che mi irrigidisce le spalle e che continua a farmi domandare cosa stia dimenticando in tutto quel che ho fatto nel corso dell’ultimo anno, quello del cambiamento radicale che, in qualche maniera, mi ha condotto dalla parte opposta dell’Europa a guardare un cielo stellato che per qualche motivo non viene nascosto dalle luci della città.
Ma neanche oggi, nè il crepuscolo, nè il vento, nè gli astri mi danno una risposta. Forse non è lì che devo cercare, ma altrove.
La risposta mi giunge pochi giorni dopo, tanto effimera quanto la domanda.
Vago, a piedi, per una delle regioni più remote del Regno Unito. Il mio percorso mi conduce su e giù lungo una linea di colline costiere, il cui costone più esterno si protende verso il mare, tuffandosi direttamente nell’acqua zaffiro. Tra le faglie formate dalle scogliere, di tanto in tanto si nasconde una spiaggia antica quanto la terra stessa, mentre dei cartelli mi informano sulla presenza di alcuni relitti che giaccono, sepolti e indisturbati, sul fondo di quelle acque. I miei stivali scalpicciano mentre smuovono la ghiaia del sentiero, diretti verso le rovine di un’antico santuario che si erge sulla collina più alta e che più si protende sul mare: da lassù, tutto il mondo sembra a portata di mano. Mentre discendo e ritorno a seguire la linea costiera, una mandria di cavalli selvatici passa al galoppo a non molta distanza da me, correndo come il vento, le chiome svolazzanti e gli zoccoli rombanti mentre assaporano la libertà di quelle alture.
Poi, ad un tratto, la spiaggia.
Non mi aspettavo nulla di simile: nel momento in cui gli scogli hanno iniziato a diradarsi, hanno lasciato il posto ad una spiaggia enorme. Vivendo in Sicilia, sono sempre stato abituato a spiagge lunghe e strette, mentre quella che mi si profilava davanti era sia lunga che larga: un centinaio di metri di sabbia compatta e pianeggiante si estendeva dalle radici del promontorio fino a raggiungere senza premura l’acqua ghiacciata che si stendeva all’orizzonte. Ho camminato sulla spiaggia con gli stivali legati allo zaino, alla sinistra il mare e alla destra il promontorio roccioso che nascondeva tutto il resto del mondo: tutto il mio universo si limitava a quella striscia di terra. Ricordo con vivida lucidità la felicità che ho provato nel percorrere quel posto, lasciare le mie impronte, bagnarmi nelle occasionali pozze d’acqua fredde come l’inverno.
Ad un certo punto, mi sono distaccato dai miei compagni di viaggio e mi sono avvicinato al bagnasciuga. In quel momento c’eravamo solo io, il mare e una sensazione di libertà totale che si spandeva in qualunque direzione: ero in un punto casuale del mondo, vicino a nessun posto che chiamerei casa e avevo intorno a me lo spazio per fare qualunque cosa volessi. La sabbia era morbida, l’acqua fredda, il cielo sereno ma sul punto di scurirsi e spirava un vento leggero. Mi sono ritrovato a ridere da solo e poi a correre lungo il bagnasciuga. In quel momento sento di aver trovato una risposta effimera ad una domanda altrettanto sfuggente. Quel qualcosa che manca. Quella scintilla di energia che era nascosta chissà dove, invisibile dal punto in cui sono di solito. Non riuscirei a mettertelo in parole migliori di queste, ma se proprio dovessi sforzarmi di farlo penso che vi sia una felicità di fondo, nella creazione: molto in profondità, oltre strati e strati di sedimenti e altre cose. A volte è così nascosta che sembra non ci sia ma quel giorno, mentre ero totalmente libero, per un attimo l’ho sentita: proveniva dalla sabbia, dal mare, dal cielo e dalla spiaggia, contemporaneamente. Era come se avessi sofferto per tutto l’inverno a causa del mutismo della terra e quel dì ne avessi finalmente sentito nuovamente la voce, il canto. E so che c’è ancora, so che c’è qui in questa terra lontana da casa e che amo alla disperazione e se è qui vuol dire che è ovunque, anche sotto il cemento e i sedimenti delle giornate. Nemmeno il temporale scatenatosi dopo e che ci ha costretto a trovare rifugio tra le rocce è riuscito a cancellare il mio buonumore.
Quel giorno ho imparato una lezione che ho trovato fondamentale per tutto il tempo a seguire: il mondo è pieno di bellezza. Sembrerà forse banale, ma prenderne piena consapevolezza è stato per me un passo importante che ha mutato la mia percezione di ciò che avevo quotidianamente intorno. Da allora ne ho visto molta altra: ho camminato su colline secolari, ho giocato con gli agnelli nella stagione delle nascite, ho scalato i tor per ammirare la vista dalla cima, ho percorso boschi e attraversato fiumi, ho rinvenuto ossa animali tra le pieghe della terra, mi sono seduto a meditare in circoli di pietra ancestrali lontani chilometri e chilometri da qualsiasi traccia di civiltà, ho osservato i cavalli correre e dormire, mi sono perso nelle nebbie più fitte.
Da quel giorno sulla spiaggia, quel qualcosa non manca più.
È, ovunque, Awen (/|\)