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Equilibri dell’anima

2014-04-13 12.07.06Sono seduto al centro della radura: intorno a me si snoda un pianoro fiorito che diverge in tutte le direzioni, prima di incontrare l’anello di alberi che lo racchiude e separa dal resto del bosco. Le fronde smeraldinee splendono di vitalità sotto il sole di primavera e si estendono ovunque cada l’occhio, seguendo la forma della montagna, incorniciandone il profilo e carezzandone la superficie di terra e pietra.

Alzo gli occhi verso il sole di mezzogiorno che si trova proprio su di me e che sbaraglia con la sua luce ogni traccia dell’inverno appena concluso. Il cielo, azzurro e terso, riecheggia del canto degli uccelli, delicato all’udito. Se il paradiso ha un suo sottofondo musicale, sono sicuro che sia questo: una lieve melodia che mi induce a chiudere gli occhi e a riempirmi di questo spazio, di questo tempo, sradicandomi dalla civiltà che mi fa perdere il contatto con questo capolavoro della creazione. Come ingegnere, impallidisco: mi rendo conto che nulla di ciò che potrò mai realizzare sarà anche solo paragonabile, in bellezza, a tutto questo.

Nel mio silenzio, che diventa parte del suono del mondo, ringrazio per ciò che ho: il calore e la luce che giungono a sollevarmi l’animo, la quiete a cui il mio spirito tanto anela, la pace di questo luogo isolato dal mondo. Mentre mi perdo nella contemplazione, cancellando ogni altro pensiero dalla mente, riesco ad udire, da qualche parte all’interno dell’anello di alberi, i miei amici, i miei fratelli, scherzare tra di loro come se nient’altro esistesse all’infuori di questa radura: i problemi, le preoccupazioni e i timori svaniscono e ci ritroviamo con il cuore aperto dinnanzi al volto primigenio della Terra. Sorrido per ciò che sento e anche perché non sanno che, in questo momento, la mia matita scorre sul foglio tracciando parole che parlano di loro. Rifletto e penso che questo non durerà: finora la vita mi ha benedetto con il tempo per poter vivere insieme a loro, ma quanto ancora ne avrò a disposizione? Poco, temo. Troppo poco. Ma c’è qualcosa che non potrà mai venir meno: a molti anni da ora, nella vecchiaia della mia vita, quando il mio mondo si sbiadirà per fare posto al nuovo, questo è ciò di cui mi ricorderò, quello che tornerà alla mia memoria mentre, in attesa dell’ultimo respiro, mi chiederò se ho vissuto al meglio la mia vita, se sono riuscito a trovare la felicità da questa esistenza. Non il successo, il fallimento, i dolori e le gioie, non le perdite e gli amori, non le emozioni date e quelle tolte, nè i baci ricevuti o desiderati. Di quanti abbracci mi sarò dimenticato? Quanti i litigi che cadranno nell’oblio? Ma questo giorno rimarrà per sempre, proprio per ciò che rappresenta.

raduraInspiro a fondo e racchiudo questo momento, lo fotografo nella mente, lo cristallizzo nel cuore: la pace della Natura e i miei amici che, non vedendomi, si chiedono dove io sia. Ma io sono proprio qui: in mezzo a questi cespugli che non si elevano più in alto di me, inginocchiato contro la nuda terra, a ringraziare la vita.

Forse riesco a rinascere. Forse, questa volta, ho ritrovato la primavera. Ma una cosa è sicura: anche nei momenti peggiori, finché avrò a disposizione quei tre ragazzi e un angolo di Natura, sono in una botte di ferro.

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Echi di primavera

monte-le-reti-sole-1Oggi sono terribilmente irrequieto.
Forse il motivo lo conosco: il sole splende caldissimo, senza che un refolo di vento riesca a infreddolire la giornata. Dalle finestre della biblioteca della facoltà, le fronde degli alberi risplendono di un verde smeraldineo, quasi come se si fossero risvegliate sotto una nuova luce. Le nuvole bianche in cielo formano un circolo sopra la mia testa, racchiudendo l’orizzonte e lasciando un varco azzurro proprio davanti all’astro dorato.

Tra poco dovrò affrontare l’ultimo esame del semestre, ma penso di essere arrivato a stancarmi proprio nel corso della volata finale: dopo più di un mese passato introdottamente sulla materia, la mia testa non ne vuole più e reagisce ai raggi quasi primaverili ribellandosi alla staticità della mia postura in sala studio. Cerco di riprendere in mano le redini della mia mente, ma questa scalpita incontrollabile. Sopraffatto dagli eventi, poso tutto ed esco.
Solo pochi minuti dopo sono seduto sotto quell’amichevole calore, sul bordo di ciò che qui viene chiamata la “piscina” dell’Università. L’acqua gorgoglia e un profilo di alberi e denti di leone incorniciano la mia vista, mentre il riflesso della luce sull’acqua limpida intensifica la canicola mattutina.

piscina

È da troppo tempo, ormai, che la mia quotidianità sembra ristagnare intorno alla propria routine. Casa, università, pc, amici. Sempre le stesse cose, in un ciclo ricorsivo da cui non riesco ad uscire. Esco di casa e non vedo l’ora di tornarci, rientro e mi sento oppresso da queste mura e smanioso di uscire di nuovo. Per andare dove, poi? L’unico luogo dove vorrei veramente andare mi è irraggiungibile al momento. Dunque sto qui, schiena contro il muretto e le scarpe ad un soffio dall’acqua, ad ascoltare i suoni di questa giornata, a ricercarne l’essenza nel vano tentativo di assorbirne un po’.

Apro il Kindle e cerco di distogliermi da tutto quanto: dalla materia, dall’esame tre meno di ventiquattr’ore, dagli impegni, dalle aspettative e dalle preoccupazioni. Tra il sole e le righe del libro, cerco di distogliermi completamente dalla mia routine e di spezzarla, in modo stupido e insensato: ciò di cui ho bisogno è rompere questo anello, non importa come. L’importante è darmi una via di fuga da questo mulinello composto da giorni sempre uguali: una volta giunto a questo, tutto il resto seguirà con assoluta certezza.

Sono rimasto un po’ indietro, mentre tutti gli altri sono andati avanti. Dovrei posare i libri, smettere di scrivere, disimpegnarmi da tutto ciò che è importante per far spazio, per un poco, a ciò che non lo è.: solo così posso sperare di riuscire a ritrovare un po’ della vitalità perduta che al momento riesco solo a vedere proiettata nella natura intorno a me.