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Echi di primavera

monte-le-reti-sole-1Oggi sono terribilmente irrequieto.
Forse il motivo lo conosco: il sole splende caldissimo, senza che un refolo di vento riesca a infreddolire la giornata. Dalle finestre della biblioteca della facoltà, le fronde degli alberi risplendono di un verde smeraldineo, quasi come se si fossero risvegliate sotto una nuova luce. Le nuvole bianche in cielo formano un circolo sopra la mia testa, racchiudendo l’orizzonte e lasciando un varco azzurro proprio davanti all’astro dorato.

Tra poco dovrò affrontare l’ultimo esame del semestre, ma penso di essere arrivato a stancarmi proprio nel corso della volata finale: dopo più di un mese passato introdottamente sulla materia, la mia testa non ne vuole più e reagisce ai raggi quasi primaverili ribellandosi alla staticità della mia postura in sala studio. Cerco di riprendere in mano le redini della mia mente, ma questa scalpita incontrollabile. Sopraffatto dagli eventi, poso tutto ed esco.
Solo pochi minuti dopo sono seduto sotto quell’amichevole calore, sul bordo di ciò che qui viene chiamata la “piscina” dell’Università. L’acqua gorgoglia e un profilo di alberi e denti di leone incorniciano la mia vista, mentre il riflesso della luce sull’acqua limpida intensifica la canicola mattutina.

piscina

È da troppo tempo, ormai, che la mia quotidianità sembra ristagnare intorno alla propria routine. Casa, università, pc, amici. Sempre le stesse cose, in un ciclo ricorsivo da cui non riesco ad uscire. Esco di casa e non vedo l’ora di tornarci, rientro e mi sento oppresso da queste mura e smanioso di uscire di nuovo. Per andare dove, poi? L’unico luogo dove vorrei veramente andare mi è irraggiungibile al momento. Dunque sto qui, schiena contro il muretto e le scarpe ad un soffio dall’acqua, ad ascoltare i suoni di questa giornata, a ricercarne l’essenza nel vano tentativo di assorbirne un po’.

Apro il Kindle e cerco di distogliermi da tutto quanto: dalla materia, dall’esame tre meno di ventiquattr’ore, dagli impegni, dalle aspettative e dalle preoccupazioni. Tra il sole e le righe del libro, cerco di distogliermi completamente dalla mia routine e di spezzarla, in modo stupido e insensato: ciò di cui ho bisogno è rompere questo anello, non importa come. L’importante è darmi una via di fuga da questo mulinello composto da giorni sempre uguali: una volta giunto a questo, tutto il resto seguirà con assoluta certezza.

Sono rimasto un po’ indietro, mentre tutti gli altri sono andati avanti. Dovrei posare i libri, smettere di scrivere, disimpegnarmi da tutto ciò che è importante per far spazio, per un poco, a ciò che non lo è.: solo così posso sperare di riuscire a ritrovare un po’ della vitalità perduta che al momento riesco solo a vedere proiettata nella natura intorno a me.

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Awen

Awen

Mi ritrovo in questo luogo senza nemmeno sapere come.
Un attimo prima stavo camminando per il campus, diretto alla biblioteca, e un attimo dopo eccomi qui. Sono in piedi di fronte agli alberi, le mani nelle tasche per proteggerle dal freddo, lo scaldacollo tirato sino al naso. Ma non va bene: devo respirare quest’aria, perché ha qualcosa da dirmi. Sto facendo tardi, ma non riesco a curarmene: se mi trovo dove sono, un motivo ci sarà.
Nonostante siano appena le tre del pomeriggio, il sole è già abbastanza basso all’orizzonte e scaglia lance di luce che filtrano tra gli alberi, lasciando me in ombra ma illuminando tutto ciò che ho davanti: il prato, i cespugli, gli alberi, il terriccio umido del suolo, l’impronta di un inverno ormai alle porte. I rumori della strada giungono ovattati, garantendomi un certo distacco: quel che conta sono queste piante, questa terra, questo pezzo di Natura che a lungo ho ingiustamente ignorato, nonostante tutto ciò che ho trascorso qui in passato.

IMG-20120616-00749Inspiro e mi chiedo dov’è che sono. Indipendentemente dal parco, non so dirlo. Nè so cosa sto facendo o dove sono diretto. Mi massaggio la fronte, chiudendo per un attimo gli occhi, e per un breve momento tutto il resto va via e rimaniamo solo io e il mondo, spogliato dalla sua civiltà e dai suoi costrutti sociali: un tipo di contatto con la Terra che non provo di certo per la prima volta in vita mia, ma di cui sentivo la mancanza.
Il mio Equilibrio è vacillante, non c’è alcun dubbio: è da circa un anno che non riesco ad essere sereno al cento per cento. Non so come andrà a finire, tuttavia, ma capisco ancora una volta che se sono seduto di fronte alla Natura un motivo c’è, per quanto possa apparire strano al lettore. Ma gli alberi non mi parlano, bensì mi ascoltano: forse vogliono che sia io a parlare.

E allora parlo, nelle profondità del mio cuore.

Parlo e la voce esce spezzata, perché come in un contatto empatico trasmetto emozioni e non parole. Parlo ed esce fuori tutto, tutto quello che non ho mai avuto il coraggio di dire, nè di scrivere, nè di pensare. Parlo e devo sembrare davvero uno svitato per i pochi che mi passano abbastanza vicini da poter udire i miei sussurri attenuati dallo scaldacollo di fronte alle labbra.
Parlo ma non ottengo risposte, perché non pongo alcuna domanda. Mentre butto tutto fuori, mi sento come se quel pezzo di mondo mi abbracciasse, come se i rami si protendessero sulle mie spalle come mani di conforto, come se la Vita che ho davanti comprendesse e dividesse con me il mio carico.

Mezz’ora dopo, ho finito. Prendo ancora qualche istante per godere delle ultime ore di luce della giornata, quindi muovo i miei passi nuovamente verso il sentiero per tornare ai miei impegni quotidiani. In quel momento, mentre cammino lungo il viale costeggiato dagli alberi che si intrecciano come una volta sopra di me, vengo pervaso dalla netta sensazione di stare uscendo da un tempio.

POST SCRIPTUM

Chi volesse sapere che cos’è l’Awen, clicchi sulla prima immagine.